Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la
Famiglia
XXIX Convegno nazionale AIMMF
“Di padre in figlio. La paternità tra regole e affetti”.
Luigi Zoja
Il padre tra Ettore e Achille
L'invenzione del padre
Al contrario di quanto affermano i luoghi comuni, allo stato animale il maschiopadre non è necessariamente il genitore che in seguito ignora i suoi piccoli. Nella maggior parte delle specie di uccelli, ad esempio, la cura della prole è garantita equamente dal padre e dalla madre. Tuttavia, negli animali superiori il padre si limita quasi esclusivamente alla fecondazione. Gli etologi e gli antropologi arrivano alla stessa conclusione, secondo la quale la funzione umana del padre – che s’incarica di organizzare la famiglia e veglia sulle sue esigenze vitali – è un’invenzione della civiltà. In altri termini: l’invenzione del padre corrisponde all’invenzione della famiglia e quindi a una prima tappa della civiltà.
In questa ottica, forse, il padre è all’origine di tutto. Non per caso quindi si situa, almeno in Occidente, all’origine e al centro della grande metafora monoteista. Forse la società è esistita prima del padre, ma la famiglia no. Forse la preistoria è esistita- prima del padre, ma la storia della civiltà no. Passando dalla femmina fecondata alla madre si registra un progresso iscritto nella continuità, mentre passando dal maschio fecondatore al padre siamo di fronte a una rivoluzione. Come la civiltà, pure in grado di compiere passi da gigante, la costruzione della funzione paterna (mai trasformata in istinto, sempre obbligata a radicarsi a fatica in
ogni nuova generazione) non si libera dei suoi piedi d’argilla nel corso dei secoli. Un’invenzione così potente deve basarsi, o addirittura derivare da una psicologia onnipotente. Deve quindi negare di essere artificiale e quasi arbitraria, nonostante lo sia. Si sente anche in dovere di negare che è una variante precaria, poiché recente, della storia dell’umanità.
Le testimonianze delle epoche più diverse dimostrano che dobbiamo considerare la paternità in modo assai diverso dalla maternità. Lo diceva molto chiaramente già Margaret Mead. Gli uomini devono imparare a desiderare di provvedere ad altri: ma questo comportamento, essendo acquisito, non ha basi solide e può sparire facilmente, se le condizioni sociali non continuano a insegnarlo. Si potrebbe invece dire il contrario delle donne: esse sono madri a meno che non si insegni loro a negare l’istinto materno. Bisogna che la società alteri il concetto che hanno di se stesse, falsifichi i loro istinti, commetta una serie di colpe nell’educarle, prima che esse
arrivino a non desiderare di provvedere, almeno per qualche anno, al bambino che hanno già nutrito nove mesi nel sicuro rifugio del loro corpo.
L’invenzione del padre, in questo senso, non ha semplicemente a che fare con uno sforzo eroico, ma con il mito di Sisifo. È facile proporre una verifica indiretta di questo problema. Se l’elemento decisivo dello sviluppo della civiltà risiede nella forza del ruolo paterno, le società e i gruppi più forti avranno un padre forte, e viceversa. La società americana è un buon
esempio: da un lato la vocazione nettamente patriarcale dei puritani e degli ebrei è stata seguita dal loro successo sociale, dall’altro, invece, si è assistito alla marginalizzazione del sottoproletariato afroamericano costituito da famiglie dirette nella maggior parte dei casi da una madre o da una nonna. Come afferma Margaret Mead, con lo schiavismo il padre è caduto nell’oblio, perché i suoi diritti non erano più riconosciuti e i suoi doveri non erano più insegnati, mentre l’istituzione materna restava intatta: la madre non poteva essere separata dal figlio al momento della vendita, al contrario del padre. La spina dorsale della famiglia nera era così spezzata e lo sarebbe rimasta per secoli.
Il rapporto fra il mito e la realtà ci porta a interrogare un falso mito, particolarmente diffuso nella cultura dell’effimero, secondo il quale la decadenza del padre in Occidente sarebbe un fenomeno recente, essenzialmente del ventesimo secolo. Il crollo dell’istituzione paterna si è manifestato nel corso delle ultime generazioni: questa epoca è stata segnata dalle guerre mondiali e dalla disillusione provocata dai “padri terribili”. Per quanto riguarda la famiglia, si è assistito a un aumento esponenziale del numero dei divorzi che, quasi sempre, allontanano il figlio dal padre, perché il bambino è affidato alla madre. In Germania e in Italia (in cui non si erano cicatrizzate le ferite di questi “padri terribili”, di questi padri decaduti perché avevano combattuto dalla parte del male) dei figli-fratelli rivoluzionari hanno cercato di imporsi ai padri con la violenza. La generazione del Sessantotto, quindi, sfocia in
una cultura dei figli che sparano sui padri.
Nel suo saggio del 1996, La società degli eterni adolescenti, Robert Bly, analizzando la Rivoluzione Cinese, parla di una società orizzontale dei figli che si è affermata con forza nel corso degli ultimi cinquant’anni. In molte rivoluzioni, una visione orizzontale, iperdemocratica (Pol Pot si faceva chiamare «primo fratello»), concorrenziale e priva di ogni forma di elevazione, prende il posto di una visione verticale, che si dirige verso il profondo ed è cosciente della genealogia.
Ma bisogna precisare una sfumatura. Sul piano storico e sociologico della famiglia, il padre, nella sua funzione, si rafforza fino all’inizio del xx secolo. Invece, sul piano delle grandi immagini collettive (come quella degli assi dello sguardo utilizzata da Robert Bly) la visione verticale era già stata sostituita dalla visione orizzontale al momento della Rivoluzione Francese. Allo stesso modo, il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento ribaltava gli sguardi: prima quello del Padre sui figli, poi quello che il Figlio rivolge al Padre o ai suoi fratelli. In questa ottica, gli ultimi venti secoli rappresentano un allontanamento unico, solenne e lento, del padre che non è più il centro dello sguardo.
Spesso le ricostruzioni del ruolo del padre assomigliano a racconti dall’apparenza storica che rimettono in causa tutto il nostro sistema di valori, ma il loro contenuto risulta metafisico. Si arriva non solo a pensare che Dio rappresenta il padre, ma anche che il padre, come diceva Freud, rappresenta Dio e, al tempo stesso, una tesi metafisica. Parlare del padre non può essere ricondotto a semplici discorsi sociologici sulla famiglia.
Con i suoi falsi miti l’ideologia contamina i discorsi. Per interrogare il padre, quindi, bisogna riprendere delle immagini mitiche vere, semplici, che ne descrivono gli attributi: la forza e la debolezza.
Padri e mito
Non c’è un’immagine assoluta del padre, ma alcune risultano più profonde di altre.
Per identificarle dobbiamo risalire alle fonti del problema. Le lingue moderne utilizzano ancora, per indicare la terra d’origine, il termine “patria”, che in greco significa “terra dei padri”. Ritorniamo quindi alla civiltà greca e all’opera di Omero. Essa non è solo il primo libro dell’Occidente, ma anche la bibbia del suo patriarcato. Al contrario di tutte, o quasi, le letterature che siamo abituati a definire eroiche, i poemi omerici presentano e descrivono in maniera abbastanza precisa il ruolo del padre: quello di Ulisse con Telemaco e quello di Ettore con Astianatte,rispettivamente nell’Odissea e nell’Iliade. La descrizione di Ettore è semplice ma completa, la più poetica a parere della critica, al punto di arrivare a immaginare che
fosse quella preferita da Omero. Omero si esprime in terza persona e descrive il rapporto del figlio con il padre. Il rapporto di Ettore con il figlio non deriva da qualcosa di preesistente. Il piccolo Astianatte se ne sta tranquillo nelle braccia della nutrice e in quelle della madre, ma quando il padre desidera prenderlo in braccio, spaventato si tira indietro. A differenza
del contatto con la madre, il contatto con il padre non è un fatto originario: questo
incontro non è naturale, gli strati della civiltà si frappongono. Omero non ne parla esplicitamente in questi termini, ma utilizza delle immagini significative per la sua epoca e, anche per noi, molto più convincenti di qualsiasi concetto moderno. Agli occhi del bambino l’uomo assomiglia a una terribile divinità minacciosa, tutta coperta di bronzo e provvista di un elmo ornato da una criniera di cavallo fluttuante. I genitori capiscono che è stata questa immagine a spaventare il piccolo Astianatte e sorridono. Allora Ettore si toglie l’elmo e il bambino si lascia baciare e prendere in braccio. Ettore lo solleva e pronuncia un arcaico Pater noster, in cui chiede a Zeus (padre suo) che questo figlio un giorno sia considerato molto più
forte di lui, il padre. Siamo lontani da certe interpretazioni moderne, in particolare da
quella che pretende di ispirarsi al mito greco privilegiando il mito di Edipo, secondo
la quale il rapporto padre-figlio si fonderebbe sulla competizione e sull’invidia!
Questo gesto verticale, accompagnato da uno sguardo verticale, resterà per sempre il gesto del padre. Esprimerà lo sforzo che questi compie per appartenere a un albero genealogico e assicurare la continuità di un dio-padre nei cieli. È lo sforzo di elevare il figlio al di sopra di sé, la civiltà al di sopra della natura. Di passare dal maschio al padre, dall’erezione all’elevazione.
La forza del gesto resterà intatta nel passaggio dalla Grecia a Roma e segnerà tutta l’antichità classica, epoca in cui il padre conoscerà la sua espressione più elevata. Come vuole la tradizione, quando fugge da Troia in fiamme Enea porta la discendenza dei Troiani in Italia. Ce lo immaginiamo impegnato a traslocare il mondo simbolico di Omero, che trasmetterà a Virgilio, il poeta ufficiale di Roma. Anche l’immagine di Enea in fuga è significativa e verticale: porta il padre Anchise sulle spalle, sopra di sé, e tiene per mano, al di sotto di sé, il figlio Ascanio. È la rappresentazione di un albero genealogico in cammino verso il progetto paterno. Le braccia dell’eroe fondatore – la destra che conduce Ascanio, la sinistra che sorregge Anchise sulle spalle – hanno avuto, per la Roma antica, il valore ideale che le braccia aperte del Cristo hanno ancora per i cristiani. È stato uno dei temi dell’antichità più rappresentati nelle statue, nei dipinti, nei mosaici e nelle monete risalenti al v secolo a.C., quando Roma era stata da poco fondata e mezzo millennio la separava da Virgilio. Augusto, che ha ispirato l’Eneide e il trionfo del patriarcato romano, ha imposto che venisse eretta al centro del Foro una statua di Enea in fuga con il padre e il figlio.
Ma perché, alla sua apoteosi, l’eroe fondatore è rappresentato mentre fugge? La risposta è chiara se ci si riferisce non alla burocrazia della storia, ma ai simboli profondi ai quali Virgilio e Augusto erano sensibili. Il combattimento decisivo che si svolge a Troia devastata dalle fiamme, non è una battaglia occasionale e di breve durata, che oppone i Troiani ai Greci. Si tratta invece dell’opposizione strutturale, millenaria, e ancora inoperante, fra il maschio mescolato a un’orda e l’individuo-maschio responsabile, quello che la società romana voleva incarnare nei padri. Nel II libro dell’Eneide, Enea è costantemente in preda all’esitazione fra l’istinto del combattente e il ragionamento che gli permetterà di salvare i suoi. Oscilla fra il desiderio impulsivo del giovane uomo e il progetto del padre. Il vero percorso compiuto da Enea non si riassume nel viaggio fra Troia e la fondazione di Roma. Enea prende per sempre le distanze dalle fiamme che distruggono Troia e dagli impulsi ardenti dei giovani maschi, per sottoscrivere degli impegni irreversibili e non effimeri, come impone la genealogia. Nella sua fuga, Enea esprimeva la sua generosità verso il padre e in quanto padre dimostrava la stessa coerenza che lo aveva animato quando la esprimeva riguardo al padre Giove. Il gesto di Ettore figura, e non a caso, in una delle principali istituzioni del diritto romano. A Roma, essere padre era un fatto ben definito sul piano sociale e giuridico. La paternità non dipende dalla biologia, ma da un atto formale. Non si riassume nell’aver concepito un figlio con una donna, ma risiede nella dimostrazione che si desidera dare di voler essere padre. Il padre solleva il figlio in pubblico e indica in questo modo che diventa responsabile di lui. Così definita, la semplice paternità fisica non conta: a Roma, ogni paternità “vera” è un’adozione. Questa paternità che passa attraverso l’elevazione del figlio alimenta l’“archetipo” che ci interessa. La sua importanza va ben oltre l’aspetto giuridico e ben oltre i tempi antichi. È sovratemporale e sovraistituzionale: l’elevazione accompagna l’asse verticale che è partito da Ettore e che oggi è interrogato da Bly. All’origine, come afferma il legislatore romano, si ritrova ciò che, secondo la nostra ricostruzione, ha segnato l’inizio della paternità: l’intenzione maschile non si riassume nella semplice concezione di un figlio, ma corrisponde all’instaurazione di un legame stabile con quest’ultimo. Una tale constatazione non riguarda solo il diritto romano della famiglia. Non si tratta di una regola astratta e arbitraria; si assiste al contrario alla
riproduzione della genesi preistorica della famiglia. La potenza di questa legge non deriva dalla forza politica e militare di Roma, ma dalla capacità di riproduzione delle antichissime necessità che hanno assicurato il passaggio dalla vita animale alla famiglia monogamica.
Per Catullo, il padre era il paradigma totale, anche per quanto riguarda l’amore. Per esprimere l’intensità della sua passione alla sua amata, le dice di averla amata «non come il volgo l'amante, / ma come il padre ama i suoi figli» (LXXII). Questo amore paterno, comunque, è sempre la conseguenza di una libera scelta. La condizione del padre – Ritorniamo all’immagine iniziale di Ettore che ama e solleva il figlio, ma che lo spaventa con le armi. Interroghiamo il significato simbolico del rapporto padre-figlio attraverso il diaframma duro e freddo
dell’armatura.
Abbiamo affermato che, per la civiltà, il padre è un colosso dai piedi d’argilla, che
la sua istituzione, in origine onnipotente, in realtà è fragile, perché, a differenza della
madre, deve costantemente essere ricostruito, una generazione dopo l’altra. Ogni istituzione veramente nuova, ogni costruzione culturale rivoluzionaria e nata da poco, ha bisogno di onnipotenza e di rigidità, di fanatismo e di aggressività. Per compensare e negare, ai propri occhi, la precarietà, ricorre alle armi, all’eliminazione dell’avversario e del dubbio. Non si tratta di stabilire un confronto fra l’uomo-padre e la donna-madre; la posta in gioco consiste nell’istituzione culturale del padre, che, come sappiamo, ha bisogno di un’armatura per sopravvivere.
Per questo gli uomini – i padri, non i maschi – hanno inventato le leggi, lo stato e le armature. Queste non si iscrivono nello sviluppo culturale del pene, ma in quello delle difese legate all’angoscia della non esistenza (non dimentichiamo che allo stato animale l’aggressività non è necessariamente propria dei maschi: nei leoni, ad esempio, compete alla femmina uccidere). L’aggressività del padre-uomo non è una condizione naturale. Al contrario, esprime il terrore di ritornarvi. Se in una società la madre perde l’autorità, continua a essere madre. Ma per il padre, è il crollo del significato della sua esistenza.
Per riassumere il mio discorso, affermerò che ciò che differenzia i padri dalle madri, in ogni società e attraverso l’autoritarismo e l’aggressività dei primi, non è la conseguenza di un istinto o di una pulsione combattiva originaria, ma di un ruolo acquisito e della tipica condizione ansiogena che essi si sono dati al centro della civiltà. Come l’elmo di Ettore, questa condizione spesso spaventa inutilmente i figli.
L’elmo di Ettore è fonte di molti altri insegnamenti: ci ricorda che un padre potrebbe capire il terrore che la sua armatura rutilante ispira al figlio, e che potrebbe allora sorridere, deporre la corazza e baciare il figlio come farebbe la madre. Tuttavia la saggezza di Omero va molto al di là. Essa fornisce un’immagine all’alternativa tragica che la storia, immersa in un fiume di sangue, sembra averci voluto lasciare in eredità. In realtà, Ettore è l’unico eroe completo di Omero che sia in grado di esemplificare una sensibilità femminile. L’uccisione di Ettore, che soccombe ad Achille, rappresenta l’apogeo dell’Iliade e rivela i modelli mitici sui quali si basava la società i cui racconti, stratificandosi nel corso dei secoli, formano l’epopea omerica.
Achille infatti è l’antitesi di Ettore. Anche Achille è padre, ma ignoriamo tutto del suo rapporto con il figlio, di cui sappiamo che è un guerriero-uccisore, come lui. Se Ettore è il tronco su cui si basa la famiglia, Achille è la scure che l’abbatte: Andromaca lo ricorda come colui che ha sterminato i suoi, suo padre e i suoi sette fratelli. Se Ettore è la voce che cerca di fermare la distruzione sottoponendo la guerra a regole cavalleresche, Achille è il ruggito che riporta la battaglia in piena giungla.
Alla fine del duello con l’eroe troiano, rifiuta quelle regole, non vuole nessun codice,
e inoltre invoca il sangue che, secondo noi, abbevera le belve: «non esistono patti affidabili fra i leoni e gli uomini, / né possono lupi ed agnelli avere cuore concorde»(XXII, 262s).
Noi pensiamo che, con un’intuizione decisamente profetica, il racconto di Omero abbia scelto, fra i due modelli mitici paterni di cui disponeva, quello che doveva affermarsi. Pensiamo che abbia rinunciato al più completo, quello di Ettore, per favorire quello di Achille, ossia il più debole sul piano familiare ma il più forte a livello pubblico, politico e militare. In questo modo, ci sembra che abbia preannunciato la lenta crescita in potenza, nel corso dei secoli, della sua forza istituzionale, a cui non corrispondeva la stessa differenziazione a livello dei
sentimenti individuali. Si è così arrivati alla degradazione di questi ultimi tempi: alla testa dei grandi stati le grandi metafore paterne hanno rivaleggiato in tirannia e in furto, accelerando quindi il declino della famiglia patriarcale. Si è finito con l’instaurarsi di una pressione di forze pubbliche e private che s’impegnano a gettare il discredito sul padre a tutti i livelli, sociale, familiare e intrapsichico. Prima di rassegnarci, possiamo comunque chiederci se è inevitabile che in tutte le epoche Ettore sia schiacciato da Achille.
Bibliografia:
Luigi Zoja
Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre.
retirado do site da Associazione Italiana dei Magistrati Per i Minorenni e Per La Famiglia
Este é um arquivo particular que compartilho para que os leitores possam conhecer melhor seus direitos.
sexta-feira, 31 de dezembro de 2010
segunda-feira, 27 de dezembro de 2010
Família não consegue suprimir sobrenome paterno por razões religiosas
Uma família judaica teve negado o pedido de retirada do patronímico (sobrenome paterno) para que o casal e os três filhos menores fossem identificados apenas pelo apelido materno. A decisão é da Terceira Turma do Superior Tribunal de Justiça (STJ). Seguindo o voto da relatora, ministra Nancy Andrighi, os ministros entenderam que a Lei n. 6.015/73, que dispõe sobre registros públicos, traz a regra da imutabilidade do sobrenome.
De acordo com os autos da ação de alteração de registro civil de pessoa natural ajuizada pelo casal e pelos três filhos – todos com menos de dez anos de idade –, na ocasião do casamento a mulher optou por acrescentar ao seu o sobrenome do marido. Posteriormente, ele converteu-se ao judaísmo, religião atualmente praticada por toda a família.
O pedido de exclusão do sobrenome do marido e pai das crianças teve por fundamento o fato de que o patronímico não identificaria adequadamente a família perante a comunidade judaica. A supressão foi negada em primeiro grau, decisão que foi mantida pelo Tribunal de Justiça do Estado de São Paulo.
Ao julgar o recurso, a ministra Nancy Andrighi ressaltou que o artigo 56 da Lei de Registros Públicos autoriza, em hipóteses excepcionais, alteração do nome, mas veda expressamente a exclusão do sobrenome.
Segundo a relatora, a regra da imutabilidade do sobrenome fundamenta-se na garantia da segurança jurídica, pois o apelido de família é componente fundamental para identificação social dos indivíduos. “O sobrenome pertence, em última análise, a todo o grupo familiar, de forma que não podem os descendentes dispor livremente do elemento distintivo de sua ancestralidade”, entende Andrighi.
A relatora considerou ainda que a exclusão solicitada poderia trazer sérias consequências para os filhos do casal. Segundo ela, por mais compreensível que sejam os fundamentos de ordem religiosa, nada garante que as crianças vão seguir a religião judaica por toda a vida e que, futuramente, não se rebelarão contra a exclusão do sobrenome que os identificam com a família paterna. Há ainda a possibilidade de ofensa à dignidade dos ascendentes e futuros descendentes.
Outro ponto analisado refere-se ao argumento de que o artigo 1.565, parágrafo primeiro, do Código Civil de 2002 autoriza os nubentes a modificar o nome com o acréscimo do patronímico do outro. A ministra Nancy Andrighi ressaltou que em nenhum momento a lei discorre sobre supressão ou substituição do sobrenome, facultando apenas o acréscimo.
retirado do site do STJ
De acordo com os autos da ação de alteração de registro civil de pessoa natural ajuizada pelo casal e pelos três filhos – todos com menos de dez anos de idade –, na ocasião do casamento a mulher optou por acrescentar ao seu o sobrenome do marido. Posteriormente, ele converteu-se ao judaísmo, religião atualmente praticada por toda a família.
O pedido de exclusão do sobrenome do marido e pai das crianças teve por fundamento o fato de que o patronímico não identificaria adequadamente a família perante a comunidade judaica. A supressão foi negada em primeiro grau, decisão que foi mantida pelo Tribunal de Justiça do Estado de São Paulo.
Ao julgar o recurso, a ministra Nancy Andrighi ressaltou que o artigo 56 da Lei de Registros Públicos autoriza, em hipóteses excepcionais, alteração do nome, mas veda expressamente a exclusão do sobrenome.
Segundo a relatora, a regra da imutabilidade do sobrenome fundamenta-se na garantia da segurança jurídica, pois o apelido de família é componente fundamental para identificação social dos indivíduos. “O sobrenome pertence, em última análise, a todo o grupo familiar, de forma que não podem os descendentes dispor livremente do elemento distintivo de sua ancestralidade”, entende Andrighi.
A relatora considerou ainda que a exclusão solicitada poderia trazer sérias consequências para os filhos do casal. Segundo ela, por mais compreensível que sejam os fundamentos de ordem religiosa, nada garante que as crianças vão seguir a religião judaica por toda a vida e que, futuramente, não se rebelarão contra a exclusão do sobrenome que os identificam com a família paterna. Há ainda a possibilidade de ofensa à dignidade dos ascendentes e futuros descendentes.
Outro ponto analisado refere-se ao argumento de que o artigo 1.565, parágrafo primeiro, do Código Civil de 2002 autoriza os nubentes a modificar o nome com o acréscimo do patronímico do outro. A ministra Nancy Andrighi ressaltou que em nenhum momento a lei discorre sobre supressão ou substituição do sobrenome, facultando apenas o acréscimo.
retirado do site do STJ
quarta-feira, 22 de dezembro de 2010
Partilha de patrimônio de casal homossexual deve ser proporcional ao esforço comum
(clique no título para ver o acórdão)
Na união homoafetiva, a repartição dos bens deve acontecer na proporção da contribuição pessoal, direta e efetiva de cada um. O entendimento da Terceira Turma é o de que, nesses casos, é reconhecida a sociedade de fato entre pessoas do mesmo sexo, exigindo-se a demonstração do esforço comum para aquisição do patrimônio a ser partilhado. A aplicação dos efeitos patrimoniais advindos do reconhecimento da união estável a uma situação jurídica diferente viola o texto expresso da lei.
A decisão se deu durante a análise de dois casos oriundos do Rio Grande do Sul. No primeiro, foi ajuizada ação visando ao reconhecimento e à dissolução de sociedade de fato. O casal conviveu por dez anos, até o falecimento de um deles. O Judiciário local reconheceu a união estável. Os herdeiros apelaram, mas a decisão foi mantida pelo Tribunal de Justiça do Rio Grande do Sul.
No segundo, pretendia-se ver declarada a existência de sociedade de fato com partilha de bens devido à morte de um deles. O Ministério Público gaúcho recorreu ao STJ porque a Justiça gaúcha reconheceu como união estável a existente entre o falecido e o autor da ação e, a partir daí, aplicou os efeitos patrimoniais relativos à partilha do patrimônio deixado. Como o parceiro falecido não tinha herdeiros necessários, o sobrevivente recebeu todo o patrimônio sem precisar demonstrar o esforço conjunto para formá-lo.
Em ambos os recursos a discussão está em definir se, ao admitir a aplicação analógica das normas que regem a união estável à relação ocorrida entre pessoas do mesmo sexo, o tribunal gaúcho afrontou os artigos 1.363 do Código Civil de 1916 e 5º da Constituição Federal.
O desembargador convocado Vasco Della Giustina, relator de ambos os recursos, destacou que o Superior Tribunal de Justiça firmou o entendimento, sob a ótica do direito das obrigações e da evolução da jurisprudência, entende ser possível reconhecer a sociedade de fato havida entre pessoas do mesmo sexo, exigindo-se, para tanto, a demonstração do esforço comum para aquisição do patrimônio a ser partilhado. “A repartição dos bens, sob tal premissa, deve acontecer na proporção da contribuição pessoal, direta e efetiva de cada um dos integrantes de dita sociedade”, explica.
Com a decisão, ambos recursos voltam ao tribunal gaúcho para que a questão seja apreciada no que concerne ao esforço comum empregado pelo autor da demanda na formação do patrimônio amealhado pelo falecido.
Resp 704803
REsp 633713
retirado do site do STJ
Na união homoafetiva, a repartição dos bens deve acontecer na proporção da contribuição pessoal, direta e efetiva de cada um. O entendimento da Terceira Turma é o de que, nesses casos, é reconhecida a sociedade de fato entre pessoas do mesmo sexo, exigindo-se a demonstração do esforço comum para aquisição do patrimônio a ser partilhado. A aplicação dos efeitos patrimoniais advindos do reconhecimento da união estável a uma situação jurídica diferente viola o texto expresso da lei.
A decisão se deu durante a análise de dois casos oriundos do Rio Grande do Sul. No primeiro, foi ajuizada ação visando ao reconhecimento e à dissolução de sociedade de fato. O casal conviveu por dez anos, até o falecimento de um deles. O Judiciário local reconheceu a união estável. Os herdeiros apelaram, mas a decisão foi mantida pelo Tribunal de Justiça do Rio Grande do Sul.
No segundo, pretendia-se ver declarada a existência de sociedade de fato com partilha de bens devido à morte de um deles. O Ministério Público gaúcho recorreu ao STJ porque a Justiça gaúcha reconheceu como união estável a existente entre o falecido e o autor da ação e, a partir daí, aplicou os efeitos patrimoniais relativos à partilha do patrimônio deixado. Como o parceiro falecido não tinha herdeiros necessários, o sobrevivente recebeu todo o patrimônio sem precisar demonstrar o esforço conjunto para formá-lo.
Em ambos os recursos a discussão está em definir se, ao admitir a aplicação analógica das normas que regem a união estável à relação ocorrida entre pessoas do mesmo sexo, o tribunal gaúcho afrontou os artigos 1.363 do Código Civil de 1916 e 5º da Constituição Federal.
O desembargador convocado Vasco Della Giustina, relator de ambos os recursos, destacou que o Superior Tribunal de Justiça firmou o entendimento, sob a ótica do direito das obrigações e da evolução da jurisprudência, entende ser possível reconhecer a sociedade de fato havida entre pessoas do mesmo sexo, exigindo-se, para tanto, a demonstração do esforço comum para aquisição do patrimônio a ser partilhado. “A repartição dos bens, sob tal premissa, deve acontecer na proporção da contribuição pessoal, direta e efetiva de cada um dos integrantes de dita sociedade”, explica.
Com a decisão, ambos recursos voltam ao tribunal gaúcho para que a questão seja apreciada no que concerne ao esforço comum empregado pelo autor da demanda na formação do patrimônio amealhado pelo falecido.
Resp 704803
REsp 633713
retirado do site do STJ
quinta-feira, 16 de dezembro de 2010
Processo Civil de Família - rito no processo de família
O processamento das questões de família possui seu rito previsto no Código de Processo Civil ou em lei especial.
Os processos poderão seguir o rito ordinário, sumário ou especial.
Cada tipo de ação seguirá o rito previsto em lei.
Para a ação de alimentos há rito especial previsto na lei de alimentos. É marcada audiência de conciliação prévia. A contestação somente deverá ser apresentada na audiência de instrução e julgamento onde as provas serão produzidas e a sentença prolatada. O mesmo rito será utilizado para as ações revisionais de alimentos, conforme previsto na referida lei.
Quando não há previsão de rito especial deve ser seguido o rito ordinário, ou seja, o réu é citado e apresenta contestação em 15 dias. Após, o Juiz determina a especificação de provas e designa audiência prevista no art.331 do CPC onde será tentado o acordo e não havendo o Juiz dará o despacho saneador, verificando se as partes são legítimas, se estão representadas adequadamente. Deferirá as provas requeridas e fixará os pontos controvertidos que devem ser esclarecidos na audiência de instrução e julgamento.
Nesta audiência poderão ser colhidos o depoimento pessoal das partes (autor pode pedir o depoimento do réu e o réu pedir o do autor, não o seu próprio) e ouvidas testemunhas e informantes (muito comum em questões de família).
Terminada a colheita de provas as partes farão manifestação final e o Ministério Público (se for o caso) e a sentença será prolatada.
Em regra são ouvidas três testemunhas sobre o mesmo fato, mas poderão ser ouvidas até oito caso seja sobre fatos diferentes.
Outra ações poderão seguir o rito ordinário com a prova pericial de estudo psicológico ou estudo social. Neste caso as partes poderão indicar assistentes técnicos apra acompanhar os estudos e deverão se pronunciar sobre o laudo.
Estas regras são, normalmente, as comuns ao direito de família. A lei determina o prosseguimento de acordo com cada tipo de processo e na ausência de norma específica segue-se o rito ordinário.
Os processos poderão seguir o rito ordinário, sumário ou especial.
Cada tipo de ação seguirá o rito previsto em lei.
Para a ação de alimentos há rito especial previsto na lei de alimentos. É marcada audiência de conciliação prévia. A contestação somente deverá ser apresentada na audiência de instrução e julgamento onde as provas serão produzidas e a sentença prolatada. O mesmo rito será utilizado para as ações revisionais de alimentos, conforme previsto na referida lei.
Quando não há previsão de rito especial deve ser seguido o rito ordinário, ou seja, o réu é citado e apresenta contestação em 15 dias. Após, o Juiz determina a especificação de provas e designa audiência prevista no art.331 do CPC onde será tentado o acordo e não havendo o Juiz dará o despacho saneador, verificando se as partes são legítimas, se estão representadas adequadamente. Deferirá as provas requeridas e fixará os pontos controvertidos que devem ser esclarecidos na audiência de instrução e julgamento.
Nesta audiência poderão ser colhidos o depoimento pessoal das partes (autor pode pedir o depoimento do réu e o réu pedir o do autor, não o seu próprio) e ouvidas testemunhas e informantes (muito comum em questões de família).
Terminada a colheita de provas as partes farão manifestação final e o Ministério Público (se for o caso) e a sentença será prolatada.
Em regra são ouvidas três testemunhas sobre o mesmo fato, mas poderão ser ouvidas até oito caso seja sobre fatos diferentes.
Outra ações poderão seguir o rito ordinário com a prova pericial de estudo psicológico ou estudo social. Neste caso as partes poderão indicar assistentes técnicos apra acompanhar os estudos e deverão se pronunciar sobre o laudo.
Estas regras são, normalmente, as comuns ao direito de família. A lei determina o prosseguimento de acordo com cada tipo de processo e na ausência de norma específica segue-se o rito ordinário.
quarta-feira, 15 de dezembro de 2010
Novas Ferramentas de Pesquisa do STJ
A Secretaria de Jurisprudência do STJ apresenta aos usuários mais quatro opções de serviços de pesquisa na base do Tribunal, além da ferramenta de pesquisa de jurisprudência, que é a área mais acessada no Portal/STJ.
Os novos serviços foram desenvolvidos a partir da experiência da equipe da Secretaria, bem como de sugestões e críticas dos usuários externos e internos do serviço de pesquisa.
Para acessar o serviço de sua preferência, basta clicar no título e depois clicar na imagem.
Pesquisa pronta
Serviço diferenciado que oferece pesquisas específicas na base de jurisprudência do STJ, organizadas por temas jurídicos e atualizadas em tempo real.
Legislação aplicada
Seleção de julgados que representam a interpretação e a aplicabilidade conferidas pelo STJ à legislação infraconstitucional.
Repetitivos
Apresenta índice alfabético-remissivo, organizado por tema, com todos os acórdãos de recursos repetitivos julgados pelo STJ e publicados no DJe, como determina a Lei 11.672/08.
Súmulas anotadas
Apresenta acórdãos que demonstram a interpretação e a aplicação das súmulas editadas pelo STJ nas decisões do Tribunal a partir da data de publicação de cada súmula.
retirada do site do STJ
Os novos serviços foram desenvolvidos a partir da experiência da equipe da Secretaria, bem como de sugestões e críticas dos usuários externos e internos do serviço de pesquisa.
Para acessar o serviço de sua preferência, basta clicar no título e depois clicar na imagem.
Pesquisa pronta
Serviço diferenciado que oferece pesquisas específicas na base de jurisprudência do STJ, organizadas por temas jurídicos e atualizadas em tempo real.
Legislação aplicada
Seleção de julgados que representam a interpretação e a aplicabilidade conferidas pelo STJ à legislação infraconstitucional.
Repetitivos
Apresenta índice alfabético-remissivo, organizado por tema, com todos os acórdãos de recursos repetitivos julgados pelo STJ e publicados no DJe, como determina a Lei 11.672/08.
Súmulas anotadas
Apresenta acórdãos que demonstram a interpretação e a aplicação das súmulas editadas pelo STJ nas decisões do Tribunal a partir da data de publicação de cada súmula.
retirada do site do STJ
terça-feira, 14 de dezembro de 2010
O que é o Regime de Bens entre os Cônjuges?
O Código Civil prevê o Regime de Bens entre os Cônjuges a partir do art. 1.639.
Quando duas pessoas vão se casar é importante que discutam com relação aos seus bens. Como será a divisão do que adquirirem durante o casamento? Os bens poderão ser comprados ou recebidos por herança ou doação e todos eles serão divididos entre o casal ou pertencerão apenas a um dos dois? Enfim, são questões que devem ser discutidas previamente para evitar surpresas depois.
Antes de celebrado o casamento os noivos poderão estipular o que quiserem sobre os seus bens, observadas algumas regras básicas previstas no Código Civil que deve ser lido para melhor compreensão das normas.
O regime de bens começa a vigorar desde a data do casamento, portanto não vale para o período anterior ao casamento, embora alguns efeitos possam alcançar bens adquiridos anteriormente.Por isso, deve-se ter atenção.
Novidade do Código Civil de 2002 é a possibilidade de no curso do casamento, ser possível a alteração do regime de bens. Deve ser proposta ação com pedido motivado de ambos os cônjuges requerendo autorização judicial para a mudança. O Juiz, apurando a procedência das razões invocadas e ressalvados os direitos de terceiros, poderá autorizar a mudança.
Caso não haja qualquer convenção prévia entre os noivos, ou sendo ela nula ou ineficaz, o regime que prevalecerá é o da comunhão parcial.
Os noivos, no processo de habilitação, poderão optar por qualquer dos regimes regulados pelo código. O cartório lavrará uma escritura pública denominada pacto antenupcial quando houver opção por outro regime que não o da comunhão parcial. Neste regime não há necessidade de escritura, apenas constará como sendo o regime legal.
Em alguns casos será obrigatório o regime da separação de bens no casamento. Será obrigatório: para as pessoas que o contraírem com inobservância das causas suspensivas da celebração do casamento; para a pessoa maior de 70 (setenta) anos; (Redação dada pela Lei nº 12.344, de 2010); para todos os que dependerem, para casar, de suprimento judicial.
Em qualquer que seja o regime de bens, tanto o marido quanto a mulher podem livremente praticar todos os atos de disposição e de administração necessários ao desempenho de sua profissão, com as limitações estabelecida no inciso I do art. 1.647;administrar os bens próprios; desobrigar ou reivindicar os imóveis que tenham sido gravados ou alienados sem o seu consentimento ou sem suprimento judicial; demandar a rescisão dos contratos de fiança e doação, ou a invalidação do aval, realizados pelo outro cônjuge com infração do disposto nos incisos III e IV do art. 1.647;
reivindicar os bens comuns, móveis ou imóveis, doados ou transferidos pelo outro cônjuge ao concubino, desde que provado que os bens não foram adquiridos pelo esforço comum destes, se o casal estiver separado de fato por mais de cinco anos; praticar todos os atos que não lhes forem vedados expressamente.
Após o casamento, marido e mulher poderão livremente comprar as coisas necessárias à economia doméstica; fazer empréstimos para obter tais bens e as dívidas para aquisição destes bens obrigam solidariamente ambos os cônjuges, ou seja, cada um é responsável por toda a dívida.
Nenhum dos cônjuges pode, sem autorização do outro, exceto no regime da separação absoluta
alienar ou gravar de ônus real os bens imóveis; pleitear, como autor ou réu, acerca desses bens ou direitos;prestar fiança ou aval;fazer doação, não sendo remuneratória, de bens comuns, ou dos que possam integrar futura meação. Se um cônjuge não quiser autorizar o outro sem motivo justo cabe pedir ao Juiz o suprimento da outorga, caso contrário o ato será anulável a pedido do outro cônjuge, ou seus herdeiros, no prazo de até dois anos após o fim da sociedade conjugal.
A aprovação torna válido o ato, desde que feita por instrumento público, ou particular, autenticado.
Quando um dos cônjuges não puder exercer a administração dos bens que lhe incumbe, segundo o regime de bens, caberá ao outro: gerir os bens comuns e os do consorte; alienar os bens móveis comuns; alienar os imóveis comuns e os móveis ou imóveis do consorte, mediante autorização judicial.
Essas são as normas gerais para o regime de bens. Muitas outras se seguem, mas serão analisadas por cada tipo de regime.
Quando duas pessoas vão se casar é importante que discutam com relação aos seus bens. Como será a divisão do que adquirirem durante o casamento? Os bens poderão ser comprados ou recebidos por herança ou doação e todos eles serão divididos entre o casal ou pertencerão apenas a um dos dois? Enfim, são questões que devem ser discutidas previamente para evitar surpresas depois.
Antes de celebrado o casamento os noivos poderão estipular o que quiserem sobre os seus bens, observadas algumas regras básicas previstas no Código Civil que deve ser lido para melhor compreensão das normas.
O regime de bens começa a vigorar desde a data do casamento, portanto não vale para o período anterior ao casamento, embora alguns efeitos possam alcançar bens adquiridos anteriormente.Por isso, deve-se ter atenção.
Novidade do Código Civil de 2002 é a possibilidade de no curso do casamento, ser possível a alteração do regime de bens. Deve ser proposta ação com pedido motivado de ambos os cônjuges requerendo autorização judicial para a mudança. O Juiz, apurando a procedência das razões invocadas e ressalvados os direitos de terceiros, poderá autorizar a mudança.
Caso não haja qualquer convenção prévia entre os noivos, ou sendo ela nula ou ineficaz, o regime que prevalecerá é o da comunhão parcial.
Os noivos, no processo de habilitação, poderão optar por qualquer dos regimes regulados pelo código. O cartório lavrará uma escritura pública denominada pacto antenupcial quando houver opção por outro regime que não o da comunhão parcial. Neste regime não há necessidade de escritura, apenas constará como sendo o regime legal.
Em alguns casos será obrigatório o regime da separação de bens no casamento. Será obrigatório: para as pessoas que o contraírem com inobservância das causas suspensivas da celebração do casamento; para a pessoa maior de 70 (setenta) anos; (Redação dada pela Lei nº 12.344, de 2010); para todos os que dependerem, para casar, de suprimento judicial.
Em qualquer que seja o regime de bens, tanto o marido quanto a mulher podem livremente praticar todos os atos de disposição e de administração necessários ao desempenho de sua profissão, com as limitações estabelecida no inciso I do art. 1.647;administrar os bens próprios; desobrigar ou reivindicar os imóveis que tenham sido gravados ou alienados sem o seu consentimento ou sem suprimento judicial; demandar a rescisão dos contratos de fiança e doação, ou a invalidação do aval, realizados pelo outro cônjuge com infração do disposto nos incisos III e IV do art. 1.647;
reivindicar os bens comuns, móveis ou imóveis, doados ou transferidos pelo outro cônjuge ao concubino, desde que provado que os bens não foram adquiridos pelo esforço comum destes, se o casal estiver separado de fato por mais de cinco anos; praticar todos os atos que não lhes forem vedados expressamente.
Após o casamento, marido e mulher poderão livremente comprar as coisas necessárias à economia doméstica; fazer empréstimos para obter tais bens e as dívidas para aquisição destes bens obrigam solidariamente ambos os cônjuges, ou seja, cada um é responsável por toda a dívida.
Nenhum dos cônjuges pode, sem autorização do outro, exceto no regime da separação absoluta
alienar ou gravar de ônus real os bens imóveis; pleitear, como autor ou réu, acerca desses bens ou direitos;prestar fiança ou aval;fazer doação, não sendo remuneratória, de bens comuns, ou dos que possam integrar futura meação. Se um cônjuge não quiser autorizar o outro sem motivo justo cabe pedir ao Juiz o suprimento da outorga, caso contrário o ato será anulável a pedido do outro cônjuge, ou seus herdeiros, no prazo de até dois anos após o fim da sociedade conjugal.
A aprovação torna válido o ato, desde que feita por instrumento público, ou particular, autenticado.
Quando um dos cônjuges não puder exercer a administração dos bens que lhe incumbe, segundo o regime de bens, caberá ao outro: gerir os bens comuns e os do consorte; alienar os bens móveis comuns; alienar os imóveis comuns e os móveis ou imóveis do consorte, mediante autorização judicial.
Essas são as normas gerais para o regime de bens. Muitas outras se seguem, mas serão analisadas por cada tipo de regime.
Regime de separação obrigatório e alteração judicial do regime para os que não alcançaram 70 anos
Com a nova lei que modifica a idade para o regime de bens de separação obrigatória algumas questões são colocadas.
A idade aumentou para 70 anos. O legislador buscou conceder mais autonomia às pessoas que desejam se casar, porém tendo como objetivo proteger estas pessoas e suas famílias de eventual risco patrimonial.
Não há dúvidas da ingerência estatal na vontade das pessoas, o que é questionável. Mas a lei deve ser cumprida.
Com os casamentos em curso, uma pessoa que foi obrigada por lei ao regime da separação obrigatório que ainda não tenha alcançado os 70 anos poderá mudar o regime de bens através da norma prevista no art.1.639 § 2º do Código Civil que diz "É lícito aos nubentes, antes de celebrado o casamento, estipular, quanto aos seus bens, o que lhes aprouver...§ 2o É admissível alteração do regime de bens, mediante autorização judicial em pedido motivado de ambos os cônjuges, apurada a procedência das razões invocadas e ressalvados os direitos de terceiros.
Não há dúvidas de que a mudança legislativa recente autoriza a alteração do regime para aqueles que se casaram com o regime obrigatório caso ainda não tenha sido alcançada a idade de 70 anos.
Se um adulto pode exercer função pública até 70 anos de idade não tem cabimento privá-lo de decidir sua vida patrimonial. A mudança é positiva e poderá ser objeto de novas ações judiciais em Varas de Família.
A idade aumentou para 70 anos. O legislador buscou conceder mais autonomia às pessoas que desejam se casar, porém tendo como objetivo proteger estas pessoas e suas famílias de eventual risco patrimonial.
Não há dúvidas da ingerência estatal na vontade das pessoas, o que é questionável. Mas a lei deve ser cumprida.
Com os casamentos em curso, uma pessoa que foi obrigada por lei ao regime da separação obrigatório que ainda não tenha alcançado os 70 anos poderá mudar o regime de bens através da norma prevista no art.1.639 § 2º do Código Civil que diz "É lícito aos nubentes, antes de celebrado o casamento, estipular, quanto aos seus bens, o que lhes aprouver...§ 2o É admissível alteração do regime de bens, mediante autorização judicial em pedido motivado de ambos os cônjuges, apurada a procedência das razões invocadas e ressalvados os direitos de terceiros.
Não há dúvidas de que a mudança legislativa recente autoriza a alteração do regime para aqueles que se casaram com o regime obrigatório caso ainda não tenha sido alcançada a idade de 70 anos.
Se um adulto pode exercer função pública até 70 anos de idade não tem cabimento privá-lo de decidir sua vida patrimonial. A mudança é positiva e poderá ser objeto de novas ações judiciais em Varas de Família.
Homossexual poderá incluir parceiro como dependente no IR em 2011
"As uniões estáveis de casais homossexuais serão reconhecidas, a partir de 2011, na declaração de Imposto de Renda da Pesso Física (IRPF). A informação foi confirmada na manhã desta segunda-feira (13) pela Receita Federal, que divulgou ainda que o prazo para a declaração tem início em março do ano que vem.
De acordo com o supervisor nacional do Imposto de Renda da Receita, Joaquim Adir, os casais do mesmo sexo poderão reconhecer o parceiro como dependente apenas assinalando a opção ‘companheiro’ no documento.
"É só assinalar companheiro. Não fazemos diferenciação. Caso tenham que comprovar posteriormente [em um eventual processo de fiscalização], ele tem de juntar os elementos para comprovar a união estável, ou seja, há mais de cinco anos", informou Adir, representante do Fisco. Os contribuintes também podem fazer a retificação das declarações apresentadas dos últimos cinco anos."
Com esta nova rega é possível que aumentem o número de escrituras de declaração de união estável lavradas em cartório, bem como ações judiciais para declaração de união estável entre pessoas do mesmo sexo que deverão tramitar em Vara de Família.
Quanto ao prazo especificado de 5 anos, tal não é exigido nas ações de declaração de união estável, pois a lei que o exigia não está mais em vigor. Assim, basta que o Juiz reconheça a existência da união estável sem que se exija prazo definido. Afinal, não há prazo para configuração de casamento e não pode haver para configuração de união estável.
Os casais homossexuais poderão, então, declarar a união estável em cartório ou requerer a homologação de acordo de existência de união estável através de ação judicial. As partes que não puderem contratar um advogado poderão ingressar com a ação através da Defensoria Pública. Mesmo com advogado, caso não haja condições de pagar as custas do processo, poderão requerer a gratuidade de justiça.
De acordo com o supervisor nacional do Imposto de Renda da Receita, Joaquim Adir, os casais do mesmo sexo poderão reconhecer o parceiro como dependente apenas assinalando a opção ‘companheiro’ no documento.
"É só assinalar companheiro. Não fazemos diferenciação. Caso tenham que comprovar posteriormente [em um eventual processo de fiscalização], ele tem de juntar os elementos para comprovar a união estável, ou seja, há mais de cinco anos", informou Adir, representante do Fisco. Os contribuintes também podem fazer a retificação das declarações apresentadas dos últimos cinco anos."
Com esta nova rega é possível que aumentem o número de escrituras de declaração de união estável lavradas em cartório, bem como ações judiciais para declaração de união estável entre pessoas do mesmo sexo que deverão tramitar em Vara de Família.
Quanto ao prazo especificado de 5 anos, tal não é exigido nas ações de declaração de união estável, pois a lei que o exigia não está mais em vigor. Assim, basta que o Juiz reconheça a existência da união estável sem que se exija prazo definido. Afinal, não há prazo para configuração de casamento e não pode haver para configuração de união estável.
Os casais homossexuais poderão, então, declarar a união estável em cartório ou requerer a homologação de acordo de existência de união estável através de ação judicial. As partes que não puderem contratar um advogado poderão ingressar com a ação através da Defensoria Pública. Mesmo com advogado, caso não haja condições de pagar as custas do processo, poderão requerer a gratuidade de justiça.
sexta-feira, 10 de dezembro de 2010
INSS inclui parceiro do mesmo sexo como dependente
Os benefícios da Previdência Social a dependentes devem incluir parceiros do mesmo sexo, em união estável. É o que determina portaria do Ministério da Previdência, publicada nesta sexta-feira no Diário Oficial da União. De acordo com o texto, o Instituto Nacional do Seguro Social (INSS) adotará as providências necessárias para o cumprimento da determinação.
O comunicado informa que o benefício já era válido no caso de morte do parceiro. Na prática, ele é concedido a parceiros homoafeitvos desde 2000, com base numa liminar, o que poderia suspendê-lo a qualquer instante. Com a portaria publicada nesta sexta-feira, o pagamento nesse caso fica garantido.
O INSS adotará as providências necessárias para o cumprimento da determinação. A decisão leva em consideração conceitos do Código Civil Brasileiro e da Constituição Federal, no sentido de promover o bem comum, sem qualquer forma de discriminação.
Desde agosto, o contribuinte que tem uma relação estável homossexual de mais de cinco anos pode incluir como dependente seu parceiro ou parceira na declaração do Imposto de Renda da Pessoa Física (IRPF). As determinações equiparam a união homoafetiva ao casamento.
Os benefícios foram analisados e aprovados pelo governo após parecer sobre os direitos dos casais homoafetivos feito pela Procuradoria-Geral da Fazenda Nacional (PGFN) e que deverá ser usado como base para outras decisões referentes aos direitos de homossexuais. A própria PFGN usou como base no seu documento decisões favoráveis concedidas pela Justiça para casos de pensão do INSS e herança de família.
retirado do site do IBDFAM
O comunicado informa que o benefício já era válido no caso de morte do parceiro. Na prática, ele é concedido a parceiros homoafeitvos desde 2000, com base numa liminar, o que poderia suspendê-lo a qualquer instante. Com a portaria publicada nesta sexta-feira, o pagamento nesse caso fica garantido.
O INSS adotará as providências necessárias para o cumprimento da determinação. A decisão leva em consideração conceitos do Código Civil Brasileiro e da Constituição Federal, no sentido de promover o bem comum, sem qualquer forma de discriminação.
Desde agosto, o contribuinte que tem uma relação estável homossexual de mais de cinco anos pode incluir como dependente seu parceiro ou parceira na declaração do Imposto de Renda da Pessoa Física (IRPF). As determinações equiparam a união homoafetiva ao casamento.
Os benefícios foram analisados e aprovados pelo governo após parecer sobre os direitos dos casais homoafetivos feito pela Procuradoria-Geral da Fazenda Nacional (PGFN) e que deverá ser usado como base para outras decisões referentes aos direitos de homossexuais. A própria PFGN usou como base no seu documento decisões favoráveis concedidas pela Justiça para casos de pensão do INSS e herança de família.
retirado do site do IBDFAM
Lei aumenta a idade para imposição de regime da separação de bens no casamento
LEI Nº 12.344, DE 9 DE DEZEMBRO DE 2010.
Altera a redação do inciso II do art. 1.641 da Lei no 10.406, de 10 de janeiro de 2002 (Código Civil), para aumentar para 70 (setenta) anos a idade a partir da qual se torna obrigatório o regime da separação de bens no casamento.
O PRESIDENTE DA REPÚBLICA Faço saber que o Congresso Nacional decreta e eu sanciono a seguinte Lei:
Art. 1o O inciso II do caput do art. 1.641 da Lei no 10.406, de 10 de janeiro de 2002 (Código Civil), passa a vigorar com a seguinte redação:
“Art. 1.641. .................................................................
II – da pessoa maior de 70 (setenta) anos;...” (NR)
Art. 2o Esta Lei entra em vigor na data de sua publicação.
Brasília, 9 de dezembro de 2010; 189o da Independência e 122o da República.
Altera a redação do inciso II do art. 1.641 da Lei no 10.406, de 10 de janeiro de 2002 (Código Civil), para aumentar para 70 (setenta) anos a idade a partir da qual se torna obrigatório o regime da separação de bens no casamento.
O PRESIDENTE DA REPÚBLICA Faço saber que o Congresso Nacional decreta e eu sanciono a seguinte Lei:
Art. 1o O inciso II do caput do art. 1.641 da Lei no 10.406, de 10 de janeiro de 2002 (Código Civil), passa a vigorar com a seguinte redação:
“Art. 1.641. .................................................................
II – da pessoa maior de 70 (setenta) anos;...” (NR)
Art. 2o Esta Lei entra em vigor na data de sua publicação.
Brasília, 9 de dezembro de 2010; 189o da Independência e 122o da República.
terça-feira, 7 de dezembro de 2010
Parte deve ser intimada para acompanhar perícia psicológica
Em processo que discute regulamentação de visitas, existe prejuízo para mãe de menor em decorrência de sua não intimação para o início de perícia psicológica, fato determinante para a declaração de nulidade do ato. A conclusão é da Terceira Turma do Superior Tribunal de Justiça (STJ), ao julgar recurso que questiona parecer técnico de perito judicial realizado sem a intimação de um dos genitores de menor.
No caso, trata-se de ações de regulamentação de visitas e medida cautelar ajuizadas, respectivamente, pelo pai e pela mãe de criança, hoje com oito anos. Em razão de possível abuso sexual, relatado em laudo psicológico – que teria sido praticado pelo pai da criança quando esta contava com três anos –, foi determinada a suspensão da visita paterna.
Em sequência, determinou-se a realização de perícia, que foi iniciada em setembro de 2006 e finalizada em julho de 2007. Em relação a essa perícia, a mãe da criança alegou a ocorrência de “vício insanável”, pedindo a declaração de sua nulidade, uma vez que não foi intimada da data do início dos trabalhos do perito judicial, o que impediu o acompanhamento da assistente técnica por ela regularmente indicada.
O juiz de primeiro grau, com base no parecer do perito judicial – que concluiu pela inexistência de abuso sexual –, revogou a liminar e restabeleceu a visitação paterna. Inconformada, a mãe interpôs um agravo de instrumento com o objetivo de declarar nula a perícia. O Tribunal de Justiça do Paraná (TJPR) manteve a visitação paterna com a necessidade de monitoramento. A mãe, então, recorreu ao STJ.
Segundo o ministro Sidnei Beneti, relator do recurso, não se deve declarar a nulidade do ato sem a demonstração do efetivo prejuízo decorrente da não intimação prévia do assistente técnico. A ministra Nancy Andrighi pediu vista do processo para melhor exame da questão.
Em seu voto-vista, a ministra destacou que as problemáticas envolvendo o universo da psicologia têm alta carga de subjetividade na linha adotada pelo perito, na forma e no foco dados ao problema, no ambiente onde irá ocorrer a perícia, nas fontes consultadas e nos métodos empregados para se chegar às conclusões e resultados.
Segundo a ministra Nancy Andrighi, exatamente em decorrência disso, o acompanhamento da perícia deveria ter sido propiciado ao assistente da mãe da criança desde o primeiro momento, sob pena de supressão de dados, os quais, tomados sob outro prisma, poderiam levar à conclusão diversa, ou, ainda, mais grave.
“Nessa linha, ouso afirmar que, para hipóteses como a em julgamento, a rígida observância do procedimento previsto no CPC é imprescindível, mormente a estabelecida no artigo 431-A, porque a intimação do início da produção da prova propicia à parte e ao seu assistente, além do singelo acompanhamento do desenvolvimento da perícia, o questionamento da capacidade técnico-científica do perito indicado e sua eventual substituição, nos termos do artigo 424, inciso I, do CPC, como também a apresentação de quesitos suplementares”, concluiu a ministra, ressaltando que não se pode “deixar à deriva a salvaguarda do melhor interesse de uma criança”.
Os ministros Massami Uyeda e Paulo de Tarso Sanseverino e o desembargador convocado Vasco Della Giustina seguiram o entendimento da ministra Nancy Andrighi. Dessa forma, a Terceira Turma do STJ determinou a anulação de todos os atos procedimentais desde a perícia e a intimação da mãe quando do ulterior início da produção de novo laudo pericial. A ministra lavrará o acórdão.
O número deste processo não é divulgado por tramitar sob sigilo.
retirado do site do STJ
No caso, trata-se de ações de regulamentação de visitas e medida cautelar ajuizadas, respectivamente, pelo pai e pela mãe de criança, hoje com oito anos. Em razão de possível abuso sexual, relatado em laudo psicológico – que teria sido praticado pelo pai da criança quando esta contava com três anos –, foi determinada a suspensão da visita paterna.
Em sequência, determinou-se a realização de perícia, que foi iniciada em setembro de 2006 e finalizada em julho de 2007. Em relação a essa perícia, a mãe da criança alegou a ocorrência de “vício insanável”, pedindo a declaração de sua nulidade, uma vez que não foi intimada da data do início dos trabalhos do perito judicial, o que impediu o acompanhamento da assistente técnica por ela regularmente indicada.
O juiz de primeiro grau, com base no parecer do perito judicial – que concluiu pela inexistência de abuso sexual –, revogou a liminar e restabeleceu a visitação paterna. Inconformada, a mãe interpôs um agravo de instrumento com o objetivo de declarar nula a perícia. O Tribunal de Justiça do Paraná (TJPR) manteve a visitação paterna com a necessidade de monitoramento. A mãe, então, recorreu ao STJ.
Segundo o ministro Sidnei Beneti, relator do recurso, não se deve declarar a nulidade do ato sem a demonstração do efetivo prejuízo decorrente da não intimação prévia do assistente técnico. A ministra Nancy Andrighi pediu vista do processo para melhor exame da questão.
Em seu voto-vista, a ministra destacou que as problemáticas envolvendo o universo da psicologia têm alta carga de subjetividade na linha adotada pelo perito, na forma e no foco dados ao problema, no ambiente onde irá ocorrer a perícia, nas fontes consultadas e nos métodos empregados para se chegar às conclusões e resultados.
Segundo a ministra Nancy Andrighi, exatamente em decorrência disso, o acompanhamento da perícia deveria ter sido propiciado ao assistente da mãe da criança desde o primeiro momento, sob pena de supressão de dados, os quais, tomados sob outro prisma, poderiam levar à conclusão diversa, ou, ainda, mais grave.
“Nessa linha, ouso afirmar que, para hipóteses como a em julgamento, a rígida observância do procedimento previsto no CPC é imprescindível, mormente a estabelecida no artigo 431-A, porque a intimação do início da produção da prova propicia à parte e ao seu assistente, além do singelo acompanhamento do desenvolvimento da perícia, o questionamento da capacidade técnico-científica do perito indicado e sua eventual substituição, nos termos do artigo 424, inciso I, do CPC, como também a apresentação de quesitos suplementares”, concluiu a ministra, ressaltando que não se pode “deixar à deriva a salvaguarda do melhor interesse de uma criança”.
Os ministros Massami Uyeda e Paulo de Tarso Sanseverino e o desembargador convocado Vasco Della Giustina seguiram o entendimento da ministra Nancy Andrighi. Dessa forma, a Terceira Turma do STJ determinou a anulação de todos os atos procedimentais desde a perícia e a intimação da mãe quando do ulterior início da produção de novo laudo pericial. A ministra lavrará o acórdão.
O número deste processo não é divulgado por tramitar sob sigilo.
retirado do site do STJ
Jursiprudência do Tribunal de Justiça do Rio de Janeiro - união homossexual
Poder Judiciário do Estado do Rio de Janeiro
Banco do Conhecimento
Divisão de Gestão de Acervos Jurisprudenciais (DGCOON//DIJJUR)Data da
União Homoafetiva – Inventário/Partilha
Tribunal de Justiça do Estado do Rio de Janeiro
0003498-29.2008.8.19.0064 (2009.001.32425) - APELACAO
DES. RICARDO COUTO - Julgamento: 07/10/2009 - SETIMA CAMARA CIVEL
REINTEGRAÇÃO DE POSSE. A posse se configura pelo exercício de poderes inerentes à propriedade, onde o contato físico imediato não é necessário, bastando lembrar a idéia da posse indireta. Comprovada a relação homoafetiva, a posse do bem onde vivia o casal deve ser assegurada à companheira sobrevivente, a quem cabe administrar a herança, diante da analogia com a união estável. A obstrução da entrada no imóvel, com a troca de fechaduras, efetivada por terceiro, exterioriza o esbulho da posse e dá ensejo à sua reintegração. Recurso conhecido e desprovido.
- Data de Julgamento: 07/10/2009 Relatório de 16/06/2009
0006114-11.2009.8.19.0203 (2009.001.59940) - APELACAO -
DES. ALEXANDRE CAMARA - Julgamento: 21/10/2009 - SEGUNDA CAMARA CIVEL RELACAO HOMOAFETIVA INVENTARIO PARTILHA DE BENS LEGITIMIDADE ATIVA PROSSEGUIMENTO DO PROCESSO RESERVA DE BENS
Direito processual civil. Inventário e partilha. Demanda formulada por pessoa que afirma sua condição de companheira da autora da herança, com quem viveria em união homoafetiva. Sentença de extinção do processo por ilegitimidade ativa. Reforma da sentença. Extinção que não se justifica se o processo de inventário e partilha pode, até mesmo, ser instaurado de ofício. Ademais, o art. 987 do CPC confere legitimidade ativa para postular o inventário a quem estiver na posse e administração dos bens.
Prosseguimento do processo, com reserva dos bens que podem vir a caber à apelante, que ajuizou demanda de reconhecimento da existência da união. Recurso parcialmente provido.
- Data de Julgamento: 21/10/2009
0003873-96.2002.8.19.0207 (2006.001.49088) - APELACAO -
DES. BINATO DE CASTRO - Julgamento: 14/08/2007 - DECIMA SEGUNDA CAMARA CIVEL
APELAÇÃO CIVIL. UNIÃO HOMOAFETIVA. Verbas rescisórias do de cujus que devem ser divididas igualitariamente entre sua filha e seu companheiro. Isonomia de direitos assegurada pela Constituição da República de 1988. Desprovimento da apelação.
REV. DIREITO DO T.J.E.R.J., vol 73, pag 132
- Data de Julgamento: 14/08/2007
0011983-47.2003.8.19.0208 (2006.001.27892) - APELACAO
DES. CELIO GERALDO M. RIBEIRO - Julgamento: 08/08/2006 - DECIMA SEGUNDA CAMARA CIVEL
Apelação cível. União homoafetiva havida entre apelante e apelado, durante o período de 1987 a 2001. Reconhecimento pelo juízo monocrático da existência de sociedade de fato entre ambos, com a determinação da partilha dos bens por eles adquiridos com o esforço comum. Prova produzida neste processo, a impor a partilha meio a meio entre eles. Aplicação à espécie do disposto na Súmula 380. STF. Determinação da liquidação do patrimônio, decorrente da sociedade de fato em tela entre apelante e apelado. consoante o disposto no artigo 1218, VII.CPC e artigos 671 e 673, do Decreto-Lei 1608/39 (Código de Processo Civil de 1939). Recurso conhecido e improvido.
Data de Julgamento: 08/08/2006
0006014-63.2003.8.19.0204 (2005.001.28842) - APELACAO
DES. JOSE GERALDO ANTONIO - Julgamento: 04/10/2005 - DECIMA CAMARA CIVEL SOCIEDADE DE FATO HOMOSSEXUALISMO ESFORCO COMUM NA FORMACAO DO PATRIMONIO
PARTILHA DE BENS LEGALIDADE
Dissolucao de sociedade de fato. Relacao homossexual. Julgamento "ultra petita". Nao configuracao. Sucumbencia reciproca. Inocorrencia. Nao configura julgamento "ultra petita" quando o pedido inicial busca a partilha do imovel adquirido com o esforco comum, em razao da uniao homoafetiva, e a decisao reconhece a existencia de uma sociedade de fato, sendo irrelevante a falta de pedido expresso da sua dissolucao. Comprovada a existencia da sociedade de fato entre os conviventes do mesmo sexo, cabivel a sua dissolucao judicial e a partilha do patrimonio se demonstrada a sua aquisicao pelo esforco comum. Nao ha' sucumbencia reciproca quando a sentenca acolhe um dos pedidos alternativos formulados na inicial. Improvimento do recurso.
Data de Julgamento: 04/10/2005
A íntegra de cada acórdão está em segredo de justiça
Disponibilizado pela Equipe do Serviço de Estruturação do Conhecimento (DGCON/SEESC)do TJRJ
Banco do Conhecimento
Divisão de Gestão de Acervos Jurisprudenciais (DGCOON//DIJJUR)Data da
União Homoafetiva – Inventário/Partilha
Tribunal de Justiça do Estado do Rio de Janeiro
0003498-29.2008.8.19.0064 (2009.001.32425) - APELACAO
DES. RICARDO COUTO - Julgamento: 07/10/2009 - SETIMA CAMARA CIVEL
REINTEGRAÇÃO DE POSSE. A posse se configura pelo exercício de poderes inerentes à propriedade, onde o contato físico imediato não é necessário, bastando lembrar a idéia da posse indireta. Comprovada a relação homoafetiva, a posse do bem onde vivia o casal deve ser assegurada à companheira sobrevivente, a quem cabe administrar a herança, diante da analogia com a união estável. A obstrução da entrada no imóvel, com a troca de fechaduras, efetivada por terceiro, exterioriza o esbulho da posse e dá ensejo à sua reintegração. Recurso conhecido e desprovido.
- Data de Julgamento: 07/10/2009 Relatório de 16/06/2009
0006114-11.2009.8.19.0203 (2009.001.59940) - APELACAO -
DES. ALEXANDRE CAMARA - Julgamento: 21/10/2009 - SEGUNDA CAMARA CIVEL RELACAO HOMOAFETIVA INVENTARIO PARTILHA DE BENS LEGITIMIDADE ATIVA PROSSEGUIMENTO DO PROCESSO RESERVA DE BENS
Direito processual civil. Inventário e partilha. Demanda formulada por pessoa que afirma sua condição de companheira da autora da herança, com quem viveria em união homoafetiva. Sentença de extinção do processo por ilegitimidade ativa. Reforma da sentença. Extinção que não se justifica se o processo de inventário e partilha pode, até mesmo, ser instaurado de ofício. Ademais, o art. 987 do CPC confere legitimidade ativa para postular o inventário a quem estiver na posse e administração dos bens.
Prosseguimento do processo, com reserva dos bens que podem vir a caber à apelante, que ajuizou demanda de reconhecimento da existência da união. Recurso parcialmente provido.
- Data de Julgamento: 21/10/2009
0003873-96.2002.8.19.0207 (2006.001.49088) - APELACAO -
DES. BINATO DE CASTRO - Julgamento: 14/08/2007 - DECIMA SEGUNDA CAMARA CIVEL
APELAÇÃO CIVIL. UNIÃO HOMOAFETIVA. Verbas rescisórias do de cujus que devem ser divididas igualitariamente entre sua filha e seu companheiro. Isonomia de direitos assegurada pela Constituição da República de 1988. Desprovimento da apelação.
REV. DIREITO DO T.J.E.R.J., vol 73, pag 132
- Data de Julgamento: 14/08/2007
0011983-47.2003.8.19.0208 (2006.001.27892) - APELACAO
DES. CELIO GERALDO M. RIBEIRO - Julgamento: 08/08/2006 - DECIMA SEGUNDA CAMARA CIVEL
Apelação cível. União homoafetiva havida entre apelante e apelado, durante o período de 1987 a 2001. Reconhecimento pelo juízo monocrático da existência de sociedade de fato entre ambos, com a determinação da partilha dos bens por eles adquiridos com o esforço comum. Prova produzida neste processo, a impor a partilha meio a meio entre eles. Aplicação à espécie do disposto na Súmula 380. STF. Determinação da liquidação do patrimônio, decorrente da sociedade de fato em tela entre apelante e apelado. consoante o disposto no artigo 1218, VII.CPC e artigos 671 e 673, do Decreto-Lei 1608/39 (Código de Processo Civil de 1939). Recurso conhecido e improvido.
Data de Julgamento: 08/08/2006
0006014-63.2003.8.19.0204 (2005.001.28842) - APELACAO
DES. JOSE GERALDO ANTONIO - Julgamento: 04/10/2005 - DECIMA CAMARA CIVEL SOCIEDADE DE FATO HOMOSSEXUALISMO ESFORCO COMUM NA FORMACAO DO PATRIMONIO
PARTILHA DE BENS LEGALIDADE
Dissolucao de sociedade de fato. Relacao homossexual. Julgamento "ultra petita". Nao configuracao. Sucumbencia reciproca. Inocorrencia. Nao configura julgamento "ultra petita" quando o pedido inicial busca a partilha do imovel adquirido com o esforco comum, em razao da uniao homoafetiva, e a decisao reconhece a existencia de uma sociedade de fato, sendo irrelevante a falta de pedido expresso da sua dissolucao. Comprovada a existencia da sociedade de fato entre os conviventes do mesmo sexo, cabivel a sua dissolucao judicial e a partilha do patrimonio se demonstrada a sua aquisicao pelo esforco comum. Nao ha' sucumbencia reciproca quando a sentenca acolhe um dos pedidos alternativos formulados na inicial. Improvimento do recurso.
Data de Julgamento: 04/10/2005
A íntegra de cada acórdão está em segredo de justiça
Disponibilizado pela Equipe do Serviço de Estruturação do Conhecimento (DGCON/SEESC)do TJRJ
segunda-feira, 6 de dezembro de 2010
Sentença que fixa alimentos inferiores aos provisórios, pendentes de pagamento, não retroage
A sentença que fixa pensão alimentícia em valores inferiores aos provisórios não retroage para alcançar aqueles estabelecidos e pendentes de pagamento. O entendimento é da Quarta Turma do Superior Tribunal de Justiça (STJ), que fixou a tese em um recurso especial oriundo do Rio de Janeiro. O relator é o ministro Aldir Passarinho Junior.
No recurso, os alimentados contestavam decisão do Tribunal de Justiça do Rio de Janeiro (TJRJ) que permitiu alteração da planilha para se ajustar os valores àqueles fixados na sentença. O órgão aplicou o artigo 13, parágrafo 2º, da Lei n. 5.478/1968, relativo à revisão de sentenças proferidas em pedidos de pensão alimentícia e respectivas execuções.
Para a Quarta Turma, os alimentos não se repetem, de modo que a retroação à data da citação dos valores fixados em montante inferior não se opera para fins de compensação do que foi pago em valor maior. O mesmo vale para os pagamentos em débito, como no caso julgado. A tese fixada pelo TJRJ, segundo a Turma, incentivaria o inadimplemento, ficando agredida, com isso, a própria razão de ser dos alimentos não definitivos.
Resp 905986
do site do IBDFAM
No recurso, os alimentados contestavam decisão do Tribunal de Justiça do Rio de Janeiro (TJRJ) que permitiu alteração da planilha para se ajustar os valores àqueles fixados na sentença. O órgão aplicou o artigo 13, parágrafo 2º, da Lei n. 5.478/1968, relativo à revisão de sentenças proferidas em pedidos de pensão alimentícia e respectivas execuções.
Para a Quarta Turma, os alimentos não se repetem, de modo que a retroação à data da citação dos valores fixados em montante inferior não se opera para fins de compensação do que foi pago em valor maior. O mesmo vale para os pagamentos em débito, como no caso julgado. A tese fixada pelo TJRJ, segundo a Turma, incentivaria o inadimplemento, ficando agredida, com isso, a própria razão de ser dos alimentos não definitivos.
Resp 905986
do site do IBDFAM
Assinar:
Postagens (Atom)